Quando si entra in una chiesa o cappella
delle Missionarie della Carità, non si può non notare il crocefisso che
sovrasta l’altare, al fianco del quale si trova la scritta: «I thirst»
(«Ho sete»): qui sta la sintesi della vita e delle opere di Santa Teresa
di Calcutta, canonizzata il 4 settembre scorso da Papa Francesco in
piazza San Pietro, alla presenza di 120 mila fedeli e pellegrini.
Donna di fede, di speranza, di carità, di indicibile coraggio, Madre
Teresa aveva una spiritualità cristocentrica ed eucaristica. Usava dire:
«Io non posso immaginare neanche un istante della mia vita senza Gesù.
Il premio più grande per me è amare Gesù e servirlo nei poveri». Questa
suora, dall’abito indiano e dai sandali francescani, estranea a nessuno,
credenti, non credenti, cattolici, non cattolici, si fece apprezzare e
stimare in India, dove i seguaci di Cristo sono la minoranza.
Nata il 26 agosto 1910 a Skopje (Macedonia) da benestante famiglia
albanese, Agnes crebbe in una tribolata e dolorosa terra, dove
convivevano cristiani, musulmani, ortodossi; proprio per tale ragione
non le fu difficile operare in India, uno Stato dalle lontane tradizioni
di tollenza-intolleranza religiosa, a seconda dei periodi storici.
Madre Teresa definiva così la sua identità: «Di sangue sono albanese. Ho
la cittadinanza indiana. Sono una monaca cattolica. Per vocazione
appartengo al mondo intero. Nel cuore sono totalmente di Gesù».
Buona parte della popolazione albanese, di origine illirica, nonostante
abbia subito la sopraffazione ottomana, è riuscita a sopravvivere con le
sue tradizioni e con la sua profonda fede, che affonda le radici in san
Paolo: «Tanto che da Gerusalemme e paesi circonvicini, fino alla
Dalmazia ho portato a compimento la missione di predicare il Vangelo di
Cristo» (Rm 15,19). Cultura, lingua e letteratura dell’Albania hanno
resistito proprio grazie al Cristianesimo. Tuttavia la ferocia del
dittatore comunista Enver Hoxha vieterà, con decreto statale (13
novembre 1967), qualsiasi religione, distruggendo da subito 268 chiese.
Fino all’avvento del tiranno, lafamiglia di Madre Teresa elargiva carità
e bene comune a piene mani. Preghiera e Santo Rosario erano il collante
della famiglia. Rivolgendosi ai lettori della rivista «Drita», nel
giugno del 1979, Madre Teresa disse ad un mondo occidentale sempre più
secolarizzato e materialista: «Quando penso a mia mamma e a mio papà, mi
viene sempre in mente quando alla sera eravamo tutti insieme a pregare
[…] Vi posso dare un solo consiglio: che al più presto torniate a
pregare insieme, perché la famiglia che non prega insieme non può vivere
insieme».
A 18 anni Agnes entra nella Congregazione delle Suore Missionarie di
Nostra Signora di Loreto: partita nel 1928 per l’Irlanda, un anno dopo è
già in India. Nel 1931 emette i primi voti, prendendo il nuovo nome di
suor Maria Teresa del Bambin Gesù, perché molto devota della mistica
carmelitana santa Teresina di Lisieux. Più tardi, come il carmelitano
san Giovanni della Croce, sperimenterà la «notte oscura», quando la sua
mistica anima proverà il silenzio del Signore.
Per circa vent’anni insegnò storia e geografia alle giovani di famiglie
facoltosefrequentanti il collegio delle Suore di Loreto a Entally (zona
orientale di Calcutta). Poi arrivò la vocazione nella vocazione: era il
10 settembre 1946 quando avvertì, mentre si recava in treno ad un corso
di esercizi spirituali a Darjeeling, la voce di Cristo che la chiamava a
vivere in mezzo agli ultimi degli ultimi. Lei stessa, che desiderò
vivere come autentica sposa di Cristo, riporterà le parole della «Voce»
nella sua corrispondenza con i superiori: «Voglio Missionarie indiane
Suore della Carità, che siano il mio fuoco d’amore fra i più poveri, gli
ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Sono i poveri che devi
condurre a Me, e le sorelle che offrissero la loro vita come vittime del
Mio amore porterebbero a Me queste anime».
Lascia, non senza difficoltà, il prestigioso convento dopo quasi
vent’anni di permanenza e da sola si incammina, con un sari bianco
(colore del lutto in India) bordato di azzurro (colore mariano),per gli
slums di Calcutta in cerca dei dimenticati, dei paria, dei moribondi,
che arriva a raccogliere, circondati dai topi, persino nelle fogne. A
poco a pocosi aggregano alcune sue ex-allieve e altre ragazze ancora,
per poi giungere al riconoscimento diocesano della sua congregazione: 7
ottobre 1950. E mentre, anno dopo anno, l’Istituto delle Suore della
Carità cresce in tutto il mondo, la famiglia Bojaxhiu viene espropriata
di tutti i suoi beni dal governo di Hoxha, e, rea del suo credo
religioso, viene aspramente perseguitata. Dirà Madre Teresa, alla quale
sarà vietato di rivedere i suoi cari: «La sofferenza ci aiuta a unirci
al Signore, alle sue sofferenze» in un’azione redentiva.
Parole toccanti e forti userà in riferimento al valore della famiglia,
primo ambiente, nell’età contemporanea, di povertà: «Qualche volta
dovremmo farci alcune domande per sapere orientare meglio le nostre
azioni […] Conosco per prima cosa, i poveri della mia famiglia, della
mia casa, quelli che vivono vicino a me: persone che sono povere, però
non per mancanza di pane?».
La «piccola matita di Dio», per usare la sua autodefinizione, è più
volte intervenuta pubblicamente e con forza, anche di fronte a uomini
politici e di Stato sulla condanna dell’aborto e dei metodi di
contraccezione artificiali. Ha «fatto sentire la sua voce ai potenti
della terra» ha detto, infatti, Papa Francesco nell’omelia della
canonizzazione. Come non ricordare, allora, il memorabile discorso che
tenne alla consegna del Premio Nobel per la Pace del 17 ottobre 1979 ad
Oslo? Affermando di accettare il Premio esclusivamente a nome dei
poveri, sorprese tutti per l’attacco durissimo all’aborto, che presentò
come la principale minaccia alla pace nel mondo. Le sue parole risuonano
più attuali che mai: «Sento che oggigiorno il più grande distruttore di
pace è l’aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un
diretto omicidio per mano della madre stessa (…). Perché se una madre
può uccidere il suo proprio figlio, non c’è più niente che impedisce a
me di uccidere te e a te di uccidere me».
Sosteneva che la vita del bambino non nato è un dono di Dio, il maggior
dono che Dio possa fare alla famiglia.«Oggi ci sono molti Paesi che
permettono l’aborto, la sterilizzazione e altri mezzi per evitare o
distruggere la vita fin dal suo inizio. Questo è un segno ovvio che tali
Paesi sono i più poveri tra i poveri, poiché non hanno il coraggio di
accettare nemmeno una vita in più. La vita del bambino non ancora nato,
come la vita dei poveri che troviamo per le strade di Calcutta, di Roma o
di altre parti del mondo, la vita dei bambini e degli adulti è sempre
la stessa vita. È la nostra vita. È il dono che viene da Dio. […] Ogni
esistenza è la vita di Dio in noi. Anche il bambino non nato ha la vita
divina in sé». Ancora alla cerimonia dei premi Nobel, alla domanda che
le venne posta: «Che cosa possiamo fare per promuovere la pace
mondiale?», ella rispose senza esitare: «Andate a casa e amate le vostre
famiglie».
Si addormentò nel Signore il 5 settembre (giorno della sua memoria
liturgica) 1997 con un rosario fra le mani. Questa «goccia di acqua
pulita», questa Marta e Maria inscindibili, ha lasciato in eredità un
paio di sandali, due sari, una borsa di tela, due-tre quaderni di
appunti, un libro di preghiere, un rosario, un golf di lana e…una
miniera spirituale di inestimabile valore, alla quale attingere a
profusione in questi nostri confusi giorni, spesso dimentichi della
presenza di Dio.
Autore: Cristina Siccardi
Al piano terra della Mother House, la casa-madre nella Lower Circular
Road di Calcutta, c’è la cappella semplice e disadorna dove dal 13
settembre 1997, dopo i solenni funerali di Stato, riposano le spoglie
mortali di Madre Teresa. Fuori, nel fitto dedalo di viuzze, i rumori
assordanti della metropoli indiana: campanelli di risciò, vociare di
bimbi, lo sferragliare di tram scalcinati attraverso i gironi infernali
della miseria. Dentro, invece, il tempo sembra fermarsi ogni volta,
cristallizzato in una specie di bolla rarefatta: la cappella accoglie
una tomba povera e spoglia, un blocco di cemento bianco su cui è stata
deposta la Bibbia personale di Madre Teresa e una statua della Madonna
con una corona di fiori al collo, accanto a una lapide di marmo con
sopra inciso, in inglese, un versetto tratto dal Vangelo di Giovanni:
“Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (15,12).
Madre Teresa di Calcutta, al secolo Agnes Gonxha Bojaxhiu, era nata
il 26 agosto 1910 a Skopje (ex-Jugoslavia, oggi Macedonia), da una
famiglia cattolica albanese. A 18 anni decise di entrare nella
Congregazione delle Suore Missionarie di Nostra Signora di Loreto.
Partita nel 1928 per l’Irlanda, un anno dopo è già in India.
Nel 1931 la giovane Agnes emette i primi voti prendendo il nuovo nome di
suor Mary Teresa del Bambin Gesù(scelto per la sua devozione alla santa
di Lisieux), e per circa vent’anni insegnerà storia e geografia alle
ragazze di buona famiglia nel collegio delle suore di Loreto a Entally,
zona orientale di Calcutta. Oltre il muro di cinta del convento c’era
Motijhil con i suoi odori acri e soffocanti, uno degli slum più
miserabili della megalopoli indiana, la discarica del mondo. Da lontano
suor Teresa poteva sentirne i miasmi che arrivavano fino al suo collegio
di lusso, ma non lo conosceva. Era l’altra faccia dell’India, un mondo a
parte per lei, almeno fino a quella fatidica sera del 10 settembre
1946, quando avvertì la “seconda chiamata” mentre era in treno diretta a
Darjeeling, per gli esercizi spirituali.
Durante quella notte una frase continuò a martellarle nella testa per
tutto il viaggio, il grido dolente di Gesù in croce: “Ho sete!”. Un
misterioso richiamo che col passare delle ore si fece sempre più chiaro e
pressante: lei doveva lasciare il convento per i più poveri dei poveri.
Quel genere di persone che non sono niente, che vivono ai margini di
tutto, il mondo dei derelitti che ogni giorno agonizzavano sui
marciapiedi di Calcutta, senza neppure la dignità di poter morire in
pace.
Suor Teresa lasciò il convento di Entally con cinque rupie in tasca e il
sari orlato di azzurro delle indiane più povere, dopo quasi 20 anni
trascorsi nella congregazione delle Suore di Loreto. Era il 16 agosto
1948. La piccola Gonxha di Skopje diventava Madre Teresa e iniziava da
questo momento la sua corsa da gigante.
Il 7 ottobre 1950 la nuova Congregazione ottiene il suo primo
riconoscimento, l’approvazione diocesana. È una ricorrenza mariana, la
festa del Rosario, e di certo non è casuale, dal momento che a Maria è
dedicata la nuova famiglia religiosa.
L’amore profondo di Madre Teresa per la Madonna aveva salde radici nella
sua infanzia, a Skopje, quando mamma Drone, che era molto religiosa,
portava sempre i suoi figli (oltre a Gonxha c’erano Lazar e Age) in
chiesa e a visitare i poveri, ed ogni sera recitavano insieme il
rosario.
“La nostra Società – si legge nel primo capitolo delle Costituzioni – è
dedicata al Cuore Immacolato di Maria, Causa della nostra Gioia e Regina
del Mondo, perché è nata su sua richiesta e grazie alla sua continua
intercessione si è sviluppata e continua a crescere”.
La figura della Vergine ha ispirato lo Statuto delle Missionarie della
Carità, al punto che ognuno dei 10 capitoli delle Costituzioni è
introdotto da una citazione tratta dai passi mariani dei Vangeli. La
Madonna è detta la prima Missionaria della Carità in ragione della sua
visita a Elisabetta, in cui dette prova di ardente carità nel servizio
gratuito all’anziana cugina bisognosa di aiuto. In aggiunta ai tre
usuali voti di povertà, castità e obbedienza, ogni Missionaria della
Carità ne fa un quarto di "dedito e gratuito servizio ai più poveri tra i
poveri", riconoscendo in Maria l’icona del servizio reso di tutto
cuore, della più autentica carità.
(…)La devozione al Cuore Immacolato di Maria è l’altro aspetto del
carisma mariano e missionario dell’opera di Madre Teresa, praticato con i
mezzi più tradizionali e più semplici: il S. Rosario, pregato ogni
giorno e in ogni luogo, persino per la strada; il culto delle feste
mariane (la professione religiosa delle sue suore cade sempre in
festività della Madonna); la preghiera fiduciosa a Maria affidata anche
alle “medagliette miracolose”( Madre Teresa ne regalava in gran quantità
alle persone che incontrava); l’imitazione delle virtù della Madre di
Dio, in special modo l’umiltà, il silenzio, la profonda carità.
"I thirst" (ho sete), c’è scritto sul crocifisso della Casa Madre e in
ogni cappella – in ogni parte del mondo – di ogni casa della famiglia
religiosa di Madre Teresa. Questa frase, il grido dolente di Gesù sulla
croce che le era rimbombato nel cuore la fatidica sera della "seconda
chiamata", costituisce la chiave della sua spiritualità.
La figura minuta di Madre Teresa, il suo fragile fisico piegato dalla
fatica, il suo volto solcato da innumerevoli rughe sono ormai conosciuti
in tutto il mondo. Chi l’ha incontrata anche solo una volta, non ha più
potuto dimenticarla: la luce del suo sorriso rifletteva la sua immensa
carità. Essere guardati da lei, dai suoi occhi profondi, amorevoli,
limpidi, dava la curiosa sensazione di essere guardati dagli occhi
stessi di Dio.
Attiva e contemplativa al tempo stesso, nella Madre c’erano idealismo e
concretezza, pragmatismo e utopia. Lei amava definirsi "la piccola
matita di Dio", un piccolo semplice strumento fra le Sue mani.
Riconosceva con umiltà che quando la matita sarebbe diventata un
mozzicone inutile, il Signore l’avrebbe buttata via, affidando ad altri
la sua missione apostolica: "Anche chi crede in me compirà le opere che
io compio, e ne farà di più grandi" (cfr. Gv 14, 12).
Madre Teresa è scomparsa a Calcutta la sera del venerdì 5 settembre
1997, alle 21.30. Aveva 87 anni. Il 26 luglio 1999 è stato aperto, con
ben tre anni di anticipo sui cinque previsti dalla Chiesa, il suo
processo di beatificazione; e ciò per volontà del S. Padre che, in via
del tutto eccezionale, ne ha voluto accelerare la procedura: per la
gente Madre Teresa è già santa.
Il suo messaggio è sempre attuale: che ognuno cerchi la sua Calcutta,
presente pure sulle strade del ricco Occidente, nel ritmo frenetico
delle nostre città. “Puoi trovare Calcutta in tutto il mondo – lei
diceva – , se hai occhi per vedere. Dovunque ci sono i non amati, i non
voluti, i non curati, i respinti, i dimenticati”.
I suoi figli spirituali continuano in tutto il mondo a servire “i più
poveri tra i poveri” in orfanotrofi, lebbrosari, case di accoglienza per
anziani, ragazze madri, moribondi. In tutto sono 5000, compresi i due
rami maschili, meno noti, distribuiti in circa 600 case sparse per il
mondo; senza contare le molte migliaia di volontari e laici consacrati
che portano avanti le sue opere. “Quando sarò morta – diceva lei –,
potrò aiutarvi di più…”. |